Con un provvedimento del 20 maggio 2021 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha previsto il risarcimento di alcuni ex forestali che la riforma Madia costrinse al transito nell’Arma dei carabinieri, obbligandoli all’assunzione dello status militare
Si tratta dei primi 4 casi esaminati, in cui era contestata la violazione del diritto alla libertà sindacale e che si sono conclusi, non con una sentenza, ma con una dichiarazione del Governo italiano di responsabilità che, per riparare ai pregiudizi inferti, si è obbligato al versamento di una somma risarcitoria.
Il provvedimento assunto è importante perché contiene il riconoscimento di un comportamento illegittimo dello Stato italiano ai sensi delle norme internazionali, ed in particolare sotto il profilo della violazione dei diritti di associazione sindacale.
Occorre tuttavia considerare che, a differenza di questi casi, il cui esame si è concluso, gli altri ancora pendenti (si stima circa 1500) impongono la verifica della riforma che ha soppresso il Corpo Forestale dello Stato, sotto diversi ulteriori aspetti. Il transito del personale forestale verso altre amministrazioni dello Stato, sia militari che – in via residuale – civili, è stato infatti denunziato anche sotto il profilo della libera scelta nello svolgimento della propria attività lavorativa (art. 4, § 2, CEDU), nonché sotto il profilo dell’ingerenza nella vita privata e familiare (art. 8 CEDU) e della limitazione alla libertà di espressione (art. 10 CEDU).
Bisogna inoltre ricordare come, sulla vicenda, sia anche già intervenuto il Comitato Europeo dei Diritti Sociali che ha riconosciuto la lesione del diritto di organizzazione sindacale e del diritto alla contrattazione collettiva del personale militarizzato, pur avendo soppesato la sentenza della Corte Costituzionale n. 120/2018, evidentemente giudicata insufficiente a tutelare i diritti sindacali in maniera adeguata a come l’Italia si è obbligata a fare, sottoscrivendo i Trattati internazionali ed in particolare la Carta Sociale Europea.
L’aspetto delle ulteriori violazioni della Cedu e della pronunzia del Comitato Europeo dei Diritti Sociali non sono affrontate in questo primo provvedimento della Corte europea e potrebbero portare a soluzioni differenti rispetto ad esso e, non è da escludersi, giungendosi all’emissione di una vera e propria sentenza, come il caso (davvero singolare) sembra meritare.
Tali considerazioni tuttavia non possono che essere rinviate al momento in cui gli ulteriori ricorsi, introdotti ad inizio 2020, non giungeranno nella fase istruttoria.
L’opportunità che si arrivi ad una pronunzia a me appare legata sia all’esigenza di un approfondimento delle ulteriori conseguenze che porta con sé l’acquisizione dello status militare, rispetto alla tutela dei diritti fondamentali, nel momento in cui non è frutto di una scelta libera da condizionamenti, sia alla riflessione che, al momento, non esiste ancora in Italia un regime legale in materia di diritti sindacali per il personale militare ed il disegno di legge in discussione non appare affatto uno strumento suscettibile di integrare le tutele imposte dal diritto internazionale.
Come ho già avuto modo di stigmatizzare nell’audizione davanti alle Commissioni riunite Affari costituzionali e Difesa della Camera sull’esame delle proposte di legge recanti l’Istituzione della Polizia Forestale ambientale e agroalimentare, la riforma del CFS apre, inaspettatamente, la porta all’imposizione dello status militare a gruppi di dipendenti del settore pubblico, distogliendoli così dall’esercizio di alcuni diritti fondamentali. E’ un tema che merita una risposta compiuta, in un senso o nell’altro, tanto dalla politica nazionale, quanto da parte dell’organo di controllo della Cedu, la quale esige che ogni scelta del potere pubblico debba essere giustificata in un’ottica di massimizzazione della tutela dei diritti della Persona.

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