Dopo una lunga ed articolata discussione in udienza ed una repentina riunione in camera di consiglio, il 16 aprile 2019 la Consulta ha rigettato le diverse questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito alla soppressione del Corpo Forestale dello Stato ed all’assorbimento della massima parte delle sue funzioni e del suo personale nell’Arma dei Carabinieri.
Le motivazioni, per ora solo annunciate, evidenziano come la Corte abbia considerato la riforma il frutto di un bilanciamento non irragionevole tra le esigenze di riorganizzazione dei servizi di tutela ambientale e forestale e quelle di salvaguardia delle posizioni del personale forestale.
Il giudizio della Consulta sulle leggi si è, spesso, attestato sull’esigenza di verificare se il legislatore abbia adeguatamente bilanciato diversi interessi in gioco, tutti di un’importanza e rilevanza tale da essere tutelati dalla Costituzione.
Quali erano gli interessi in gioco questa volta? Da un lato l’esigenza del Governo di realizzare una sintesi organizzativa tra due corpi di polizia, dall’altro, la tutela del diritto fondamentale di ogni dipendente pubblico (anche se appartenente ad una forza di polizia) a che possa autonomamente determinarsi, nei rapporti con lo Stato, scegliendo se essere civile, ovvero assumere l’onere del militare.
Nella visione della Corte Costituzionale non vi è dubbio alcuno che debba prevalere il primo dei due interessi, senza che al secondo sia concessa la benché minima garanzia. Val la pena di ricordare al riguardo che ai membri del Corpo Forestale dello Stato (polizia ad ordinamento civile sin dal 1948), in numero di oltre 7.000, per sottrarsi all’acquisizione della condizione di militare (tale è lo status che si consegue entrando nell’Arma) è stata garantita una mobilità alternativa per sole 600 persone, che li avrebbe peraltro visti abbandonare le qualifiche di polizia giudiziaria e pubblica sicurezza, per divenire semplici dipendenti civili.
Ora, se consideriamo che coloro che si sono rivolti alla magistratura sono in numero pari a circa 3.200, è per chiunque comprensibile che, anche a voler considerare unicamente la posizione di chi ha fatto causa rivendicando il suo diritto ad una libera scelta a non essere militare, solo ad una sparuta minoranza di essi sarebbe stato concesso di sottrarsi alla militarizzazione, finendo gli altri nelle procedure dell’esubero con il collocamento in disponibilità.
Questo, in termini brevi, il ricatto occupazionale che, a ragione, è stato definito come militarizzazione coatta dell’ex personale del Corpo Forestale.
Ad avviso della Corte, invece, questo è il frutto di un non irragionevole bilanciamento con l’interesse dello Stato al trasferimento delle funzioni forestali ad un organo militare.