Con la sentenza n. 8427/2024 del 30/4/2024, il Tribunale di Roma ha condannato, sulla base di un’azione giudiziaria curata dal nostro studio, un noto ospedale romano per vare preteso somme inesigibili nei confronti di una degente affetta da morbo di Alzeimer.

La nostra cliente si era trovata a dover affrontare tutte le spese non strettamente sanitarie erogate dalla struttura, affrontando un rilevante esborso in connessione alla lunga degenza. Il Tribunale, sulla base di principi affermati in alcune pronunce della Corte di Cassazione, ha accertato che, ove ricorra una situazione di grave affezione (nel caso di specie da morbo di Alzheimer), in relazione alla quale si verifica, da parte del nosocomio, anche l’adozione di un piano terapeutico individuale volto all’erogazione di prestazioni di natura strettamente sanitaria, unitamente ad altre di carattere socio assistenziale che siano tra esse non scindibili, l’intero onere per l’assistenza prestata al malato va posta a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Al riguardo, l’eventualmente difforme normativa regionale o comunque di secondo grado non può prevalere rispetto alla normativa primaria, come interpretata dalla Suprema Corte.

Le prestazioni socio-assistenziali di rilievo sanitario devono ritenersi dunque incluse tra quelle a carico del Servizio Sanitario Nazionale se, per garantire il diritto alla salute e alle cure del paziente, occorre che le prestazioni di natura sanitaria siano erogate congiuntamente all’attività socio-assistenziale. Ogni qualvolta, dunque, vi sia un nesso di strumentalità, necessaria e inscindibile, tra le due tipologie di prestazioni, tale per cui non è possibile erogare le une in assenza delle altre, anche i costi dell’attività socio assistenziale sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale e l’ospedale che li eroga non può quindi pretenderne il pagamento nei confronti del paziente.

Qualora ciò accada, o dovesse essere accaduto, deve essere riconosciuto dunque il diritto al rimborso che, nel caso in esame, ha riguardo una cospicua somma, di oltre 100mila euro, che la degente aveva nel tempo corrisposto all’istituto ospedaliero, che ora è stato condannato a restituirli da parte del Tribunale di Roma.

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