Con la sentenza della Corte di Cassazione, sent. n. 6619-2025, che segna un importante successo per i nostri clienti, sono stati definitivamente stabiliti i principi in materia di restituzione dell’IRBA, l’imposta regionale sulla benzina, corrisposta dalle società petrolifere e dai distributori di carburante in contrasto con le norme UE.
La Cassazione ha ribadito che l’IRBA, tributo regionale derivato dalla legge statale, è contrario al diritto dell’Unione, nella misura in cui non è diretto a finanziare una finalità specifica di tutela di salute e ambiente, scoraggiando l’acquisto di prodotti di per sé nocivi. Anche la legge campana, oltre che quella del Lazio, istituite per finanziare genericamente i bilanci regionali (nel caso della Campania per rafforzare, mediatamente, il patrimonio delle ASL) si presenta, per tale ragione, in contrasto con le direttive europee e deve essere dichiarata illegittima.
Non solo, del pari illegittima si presenta la norma nazionale che, dopo aver abolito tale imposta illegittima, pretenda di garantirne gli effetti per il passato, limitando i rimborsi richiesti da chi l’aveva corrisposta: anche tale limite infrange le direttive europee e la loro effettività.
Sono dovuti dunque i rimborsi per gli ingenti versamenti effettuati anche prima dell’abolizione dell’IRBA con la legge di bilancio del 2021. Né può costituire limite ostativo al rimborso (come preteso in giudizio dalla difesa erariale) la presunzione di traslazione dell’onere economico dell’imposta sul consumatore finale. In aderenza alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, la Cassazione afferma che l’amministrazione finanziaria, se vuole provare la traslazione del costo dell’imposta a terzi al fine di evitare il rimborso, deve offrire elementi specifici e concreti.
Tali elementi possono essere offerti dai dati di bilancio: la collocazione in esso delle imposte ha valenza indiziaria di quella prova che deve essere offerta dall’amministrazione finanziaria. Unitamente alla traslazione, il Fisco deve anche dimostrare che, con il rimborso, si determinerebbe un arricchimento del soggetto che ha pagato l’imposta. In mancanza di una prova concreta di tali elementi, che non sono costitutivi del diritto al rimborso, bensì fatti impeditivi, si deve procedere alla restituzione dell’imposta all’impresa che l’ha sopportata. Tenuta al rimborso – conclude la Cassazione – è l’Agenzia delle Dogane.
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E| L Avvocato Egidio Lizza
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